Abbiamo discusso degli ingredienti che servono per far diventare l’Italia una grande squadra:
- Motivazione
- Capacita’
- Attitudine
- Trasparenza
- Spirito di sacrificio
- Competizione leale nella societa’ e nell’economia
Tutto cio’ e’ un insieme di ingrdienti essenziale, senza i quali competere a livello globale significa rimediare delle figuracce, finire in classifica dietro paesi le cui potenzialita’ sono di gran lunga inferiori alle nostre, paesi ai quali abbiamo insegnato i fondamentali della democrazia, l’arte, la cultura, l’ingegneria e non solo.
Ebbene per vincere ci vogliono anche una buona strategia ed una impeccabile esecuzione. Per dirla in gergo calcistico, un buon allenatore e dei calciatori che corrono e la buttano dentro.
Quale puo’ quindi essere una strategia per orientare una democrazia compiuta come quella Italiana (forse non del tutto, qualcuno dira’…) alla performance ed al recupero di competitivita’, benessere e credibilità in campo internazionale?
La risposta puo’ essere forse banale, semplice ed anche criticabile: i nostri “gestori” devono rispondere in prima persona per i risultati ottenuti e per gli eventuali fallimenti. Dobbiamo crare nella nostra politica quel qualcosa che nei paesi anglossassoni viene comunemente chiamato: “accountability”.
Il nostro compito e quinidi, in teoria, molto semplice, dobbiamo creare dei meccanismi istituzionali che prevedano che governi e partiti debbano vedere le loro performance misurate e comparate a metriche equivalenti relative ad altre societa’, altre economie e altre democrazie europee e globali.
Dicevo il compito e’ semplice, in teoria, in pratica, si tratta di studiare un modo per attuare tale strategia e si tratta poi di trovare i modi per scardinare alcune note resistenze titaniche che derivano da stratificazioni pluri-centenarie della cultura e della societa’ Italiana.
Forse ripeto un concetto altrove gia’ espresso, ma l’interpretazione moderna di democrazia non puo’ piu’ prescindere dal fine, troppo spesso ignorato, di produrre progresso nella societa’ e nell’economia.
Per troppi anni ci si e’ focalizzati sul concetto di democrazia come forma di governo, quindi come mezzo, senza sapere cio’ che essa doveva produrre ed in che modo.
Dopo il grande freddo di questa depressione, la domanda legittima che molte persone comuni, come anche molti studiosi si pongono e’: La nostra democrazia, la nostra politica, il nostro tanto incensato modello occidentale ha prodotto infine tutto questo?
Abbiamo forse lottato per avere una forma di governo e delle istituzioni che producono recessione, debito, perdita di competitivita’, arretramento culturale e disagio sociale?
Se compariamo la nostra condizione a cio’ che eravamo negli anni 50, 60, 70 etc… Questo e’ cio’ che impietosamente riscontriamo, certo anche con tutti i se e i ma del caso. In sostanza siamo però regrediti in potenziale, speranze di crescita, cultura, struttura sociale e competitivita’.
Proviamo allora ad immaginare un meccanismo, una strategia che ci faccia finalmente diventare una “democrazia da competizione”, capace di vincere le sfide che il mondo globalizzato ci pone innanzi.
Certo, proviamo solo ad immaginare, poiche’ le forme attuative che tale principio puo’ assumere, in un mutato quadro istituzionale, non sono prevedibili da alcuno e meritano certamente il contributo qualificato di studiosi delle istituzioni stesse.
Proviamo ad immaginare ad esempio che un governo, democraticamente eletto dal popolo si impegni su 2 fronti:
- Nella realizzazione del proprio programme elettorale (si, esattamente come avviene adesso…)
- Nel raggiungimento di obiettivi istituzionali legati ai principali indicatori sintetici di funzionamento e di competitivita’ della Nazione, diciamo non piu’ di venti, trenta metriche.
Immaginiamo che relativamente al primo punto un governo debba rispondere, cosi’ come fa oggi, ai propri elettori, che di conseguenza, potranno rivotare per una certa parte politica o cambiare opinione e premiarne un’altra. Come in pratica accade già adesso.
Immaginiamo poi che riguardo agli obiettivi istituzionali vi sia un mccanismo annuale di misurazione e controllo che imponga, ad esempio a meta’ del mandato, una revisione della squadra di governo se alcuni obiettivi istituzionale non sono state raggiunti, contemplando anche la possibilità di un cambio di premier se il deficit, nel raggiungimento, e’ grave.
Immaginiamo che il Capo dello Stato possa sciogliere le camere se gli indicatori istituzionali di performance sono gravemente deficitari nelle revisioni annuali e mostrano un trend in peggioramento.
Immaginiamo infine che il Capo dello Stato possa dichiarare una legislatura compiuta o fallita a seconda del raggiungimento, in quantita’ e merito, degli obiettivi istituzionali. Quando ci si troverà nel caso di una legislatura fallita, i membri del governo non potranno piu’ ricoprire cariche pubbiche per un periodo di tempo molto lungo, ad esempio 15 anni, tale comunque da comprometterne la carriera politica in modo quasi definitivo.
Alla fine di tale viaggio dell’immaginazine, proveremo a vedere che effetti potrebbe avere, un siffatto assetto istituzionale, sulla nostra politica e sui nostri partiti.