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Moderati, Riformisti, Conservatori (e Opportunisti)

PagliaccioChi sono in Italia i Moderati, i Riformisti e i Conservatori? Non sto parlando dei nostri politici, tre aggettivi per loro sono fin troppi, li accomunerei sotto un’unica etichetta, ma questo è un altro discorso, sto parlando invece della nostra società.

Fino a che punto la nostra vita sociale è “incrostata” di clientelismo, dipendenza dagli apparati e dalla burocrazia, corruzione e opportunismo politico da poter sperare in una diffusa spinta riformatrice?

C’è forse qualcuno in questo paese convinto che l’Italia non abbia bisogno di riforme? Ne dubito. Eppure le riforme non si fanno. Tutti resistono, tutti hanno qualcosa da difendere. Non importa chi sia stato al potere, moderati, progressiti, riformisti, ogni scusa è stata ed è tuttora buona per rimandare all’infinito gli interventi necessari. La classe politica resiste al cambiamento, ma con essa, e forse più di essa, anche la società civile.

Nonostante tutto è arrivato il momento di farle le riforme, non c’è più spazio per rimandarle siamo infatti al bivio tra la strada che ci porta verso l’Europa competitiva e quella che conduce alla catastrofe Greca.

L’iniziativa di Monti tende a mettere al centro della vita politica la cosiddetta società civile nel tentativo di farla diventare il vero motore, non politicizzato, del cambiamento. Iniziativa, per quel che mi riguarda, assolutamente condivisibile, anche per il fatto che la classe politica Italiana si è da tempo cristallizata in un dibattito sterile che non ha certamente al centro i problemi del paese, ma solo beghe, politiche e personali, di basso livello.

Ha ancora ragione Monti quando dice che tutto dipende dalla nostra competitività e che se non facciamo  le riforme non diventeremo mai competitivi e tutto diventerà ancora più difficile (se è possibile), a cominciare dalla soluzione dei problemi economici fino all’acuirsi del declino sociale e culturale che si è già manifestato negli ultimi anni.

Sul ruolo della società civile in tutto ciò ho però delle perplessità: quanta della nostra società percepisce le giuste urgenze descritte da Monti, e quanta percepisce quindi una forte necessità di cambiamento?  E ancora quanta di questa eventuale voglia di cambiamento si può incanalare verso un’azione positiva anzichè disperdersi in un rigetto senza appello dell’intero sistema?

Le risposte rischiano di essere francamente deprimenti.

Tra la cosiddetta “antipolitica”,  l’astensionismo, i voti di protesta e una diffusa ignoranza sulle reali condizioni dell’economia Italiana (ebbene si c’è gente che pensa e crede che lo spread sia frutto di una macchinazione tedesca…), è difficile pensare che la società civile sia veramente in grado di produrre quel colpo di reni che ci servirebbe a riguadagnare un posto tra le economie più evolute. Temo che Monti finisca per essere il rappresentante di se stesso e di una Elitè culturale che, sicuramente porta avanti una sacrosanta causa, nel nome e per il bene dell’Italia, ma che è numericamente irrilevante al fine di  innescare un processo positivo di radicale rinnovamento.

I comportamenti della classe politica e l’inefficienza del nostro apparato sono inoltre oramai diventati una parte integrante dei nostri costumi. Vi è una moltitudine di cittadini, per fare un esempio, che fa regolarmente leva sui tempi, enormemente lunghi, della giustizia Italiana per commettere, senza conseguenze apprezzabili, reati e soprusi di ogni tipo certi che ogni procedimento cadrà in prescrizione o che la parte danneggiata rinuncerà  ad un’azione legale vista l’impossibilità di avere giustizia in tempi certi.

Questa incrostazione dei costumi e del nostro modo di pensare ci porta quindi ad essere conservativi e conservatori (indipendentemente dalle idee di destra o di sinistra)  anche “a nostra insaputa”, ci porta a difendere lo Status Quo di una Nazione di cui conosciamo fin troppo bene le istruzioni per l’uso.

In una Nazione profondamente riformata, dove le cose un bel giorno dovessere funzionare per davvero, molti di noi si sentirebbero terribilmente spaesati. Come “sistemare”, ad esempio, un figlio o un familiare se non ci fossero più politici ed amministratori compiacenti? Bisognerebbe a quel punto insegnare ai nostri figli il valore della meritocrazia, dell’impegno nel lavoro e dello studio, tutte cose che, in molti casi, oggi facciamo in modo molto relativo.

Pensiamoci, siamo forse noi la vera palla al piede sul percorso delle riforme?

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