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La Grecia, l’Italia, l’Europa, la Politica e la REALTA’

La “lettera” della Grecia all’Unione Europea è ancora fresca di stampa. La Grecia è stata così costretta a ribadire molti degli impegni presi con la “Troika” per risanare l’economia e portare avanti un programma di profonde riforme. In cambio ha ricevuto una misera dilazione dei tempi di implementazione delle riforme.

Come andrà a finire non è facile dirlo, verosimilmente la Grecia dovrà rinunciare ad alcuni proclami del suo nuovo Primo Ministro e dovrà ancora fare i conti con la scomoda realtà di essere un economia (troppo) strettamente interconnessa con quella dell’Europa e del mondo occidentale in generale.

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Da tutta questa vicenda dovremmo però provare a ricavare degli elementi di riflessione fondamentali che ci possano indicare una futura strategia e un modo di fare politica del tutto diverso e basato sulla realtà dei fatti.

 Ecco alcuni elementi che sono chiaramente emersi dall'”affaire” Grecia e di cui dovremmo tenere conto anche nella realtà Italiana:

  1. Le elezioni, in Grecia come in Italia, si vincono facendo leva sui sogni e sulle frustrazioni delle persone (detto altrimenti becero-populismo televisivo)
  2. La politica ha a che fare, suo malgrado, soprattutto con la realtà economica di un paese
  3. L’economia di una Nazione non dipende solamente da variabili controllabili ed economiche (e non è certo questa la novità)
  4. La realtà economica di un paese dipende fortemente dalle sue radici culturali e dalle sue trasformazioni sociali
  5. La realtà economica e sociale di un Paese non si cambia dall’alto e non si cambia in 1 o 2 anni (nonostante i proclami di Renzi in Italia e di Tsipras in Grecia)
  6. Le riforme economiche non possono essere punitive
  7. Le riforme sociali devono precedere le riforme economiche
  8. Le riforme sociali richiedono un arco temporale di un ordine superiore rispetto alle riforme economiche
  9. Le riforme richiedono investimenti, anche quelle fatte per ridurre l’indebitamento
  10. Le riforme richiedono un approccio bilanciato e attentamente misurato
  11. Le riforme devono produrre risultati misurabili
  12. Le riforme richiedono “accountability” per le scelte effettuate

Questo elenco, sicuramente parziale, ci riporta al concetto centrale di questo blog: la politica misurabile che produce un effetto bilanciato sull’economia e sugli aspetti sociali legati alle necessità ed alle aspirazioni dei singoli.

  Un politica riformatrice non può operare con una visione parziale del mondo. Una riforma non è una cura sintomatica, ma un approccio clinico “sistemico” che mira al miglioramento generale delle “condizioni di salute” di una Nazione. Tagliare il debito alzando le tasse e riducendo i costi della pubblica amministrazione o del sistema pensionistico è una evidente forzatura che nel medio periodo porterà, esattamente come è successo in Grecia, ad uno sbilanciamento, drammatico e forse irreversibile, del sistema paese. Così come spesso agisce il buon medico di famiglia, bisogna certo intervenire sui sintomi, ad esempio bisogna fare scendere la febbre di un malato prima che questa possa causare danni irreparabili, ma al contempo bisogna ricercare e curare le cause dei fenomeni,  di quella febbre,  in modo da evitare che si possa ripresentare in futuro.

Curare le cause è spesso un operazione difficile e che non porta voti e consenso alla politica. Per questa ragione i nostri rappresentanti, inclusi i rappresentanti politici della comunità europea, mirano in modo molto più pragmatico a curare i sintomi ed a mostrare il volto di un medico rigoroso che per non fa morire il paziente è pronto ad amputare questa o quella parte del corpo.

Più volte abbiamo sottolineato che il sistema degli indicatori è un elemento chiave per indirizzare le riforme e per valutarne l’efficacia. Il sistema degli indicatori, per i motivi sopra esposti, non si può limitare alle variabili economiche, quali il PIL, l’indebitamento, la tassazione il tasso di disoccupazione e altri, ma deve comprendere e misurare diversi altri aspetti economici e sociali della vita di un Paese. Il miglioramento di una Nazione non è mai solo economico, ma comprende una diversa maturità sociale e culturale che è il terreno fertile per lo sviluppo.

Ma quando il malato è grave, come nel caso della Grecia, o in uno stato che desta preoccupazione, come nel caso dell’Italia, abbiamo veramente il tempo di agire sulle cause?  Certamente nel caso della Grecia e forse anche nel caso dell’Italia, alcune misure sono state prese per far scendere “la febbre” del malato, così come certamente si è andati oltre il lecito con certi medicinali rischiando di uccidere il malato senza curarlo veramente. In entrambe i casi la classe politica rimane refrattaria ad un serio programma di misurazione degli effetti delle riforme. Il concetto che ci sono da fare “La Riforme” e che chi le fa è nel giusto e va aiutato a continuare il progetto è di per se ridicolo. L’Italia come la Grecia non ha solo bisogno di Riforme, ha bisogno delle Giuste Riforme,  riforme che inducano il miglioramento, e che non siano cure che rischiano di uccidere il malato, riforme la cui efficacia possa essere misurata e provata al di la dei proclami politici, televisivi e populistici, riforme fatte da persone competenti e pronte ad assumersi la responsabilità delle proprie scelte, fino a lasciare il passo in caso di fallimento.

Il tempo è infine un fattore critico, nessuno può ignorare la sua importanza. Rifacendoci al paragone con il malato curato dal medico di famiglia, proprio come il medico di famiglia sappiamo che ogni guarigione richiede tempo. Ogni medico che dimette il paziente troppo frettolosamente rischia di aprire le porte ad una recidiva. Certamente il paziente non può restare inattivo, magari a letto, per un lungo periodo, poiché ciò avrebbe un impatto significativo sulla sua vita lavorativa e sociale. L’Unione Europea ha in questo senso invece più volte forzato la mano alla Grecia cercando di velocizzare le cure ed il processo di guarigione di quella economia. La recidiva si è, come previsto, puntualmente presentata in tutta la sua evidenza.

L’Italia ha dalla sua un miglior credito ed una situazione economica leggermente migliore, la quale le permetterebbe di “stare a letto” qualche giorno in più e di risolvere alcuni problemi fondamentali una vota per tutte. Sarebbe molto saggio, da parte dei nostri politici, usare questo tempo nel modo migliore per avviare quindi riforme di medio/lungo periodo delle quali si possa misurare l’efficacia in maniere inoppugnabile. Un percorso siffatto sarebbe la nostra migliore assicurazione contro gli inesperti medici dell’Unione Europea.

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Per Chi Facciamo il Tifo?

Siamo un popolo di tifosi, non possiamo fare a meno di schierarci da una parte o dall’altra. Più che essere a supporto di qualcosa o qualcuno ci piace da morire essere CONTRO qualche cosa. In questo certamente si sublima la nostra passione politica. La passione, intendiamoci,  non è mai un problema, ma sempre un valore, purtroppo qui non parliamo di un campionato qualunque o di un gioco qualunque, qui parliamo della nostra società, della nostra casa comune, delle nostre vite (non di quelli degli altri…).

Per chi facciamo il tifo?

Per chi facciamo il tifo?

E’ bello essere tifosi, andare allo stadio, vedere la propria squadra giocare, tifare con grande passione e poi, qualunque sia il risultato tornarsene a casa a rituffarsi nella propria vita, un po piu’ tristi o un po più contenti, a seconda del risultato. Risultato che in fondo nulla o ben poco ci cambia rispetto ai casi della nostra vita.

Nella politica non è questo il caso. Non possiamo fare i tifosi per una settimana durante le elezioni o per un mese durante la campagna elettorale, e poi tornare a “sonnechhiare” nelle nostre vite. Non possiamo farlo semplicemente perchè il risultato, e tutto ciò che ne segue, le nostre vite le cambia eccome.

Pensiamo un attimo a come una brutta politica ha cambiato il volto di questa Nazione negli ultimi 20 anni, pensiamo a ciò che eravamo e a ciò che siamo o, anche peggio, a ciò che potremmo diventare… Eppure la passione non è certo mancata! Siamo passati attraverso promesse epocali e proclami roboanti, di milioni di posti di lavoro, di ponti sullo stretto, di contratti firmati in TV, di cambiamenti e di riforme mai viste. E tutti lì a dire: si ce la possiamo fare, oppure: impossibile! Nessuno però a misurare!

Ci sono voluti venti (dico 20 e lo riscrivo V E N T I) anni per rendersi conto del fallimento di quella politica. Oggi mi domando: avevamo ed abbiamo venti anni da regalare alle Nazioni che competono con noi nel mondo globalizzato? In venti anni questa Nazione è arretrata, si è impoverita economicamente e culturalmente, non ha più la speranza di poter garantire a propri figli un futuro migliore di quello dei loro padri. Chi ci ripagherà di tutto questo? E mi domando ancora: era il caso di fare il tifo o forse era meglio misurare i risultati? Era il caso di aspettare venti anni? Se avessimo misurato con dei dati oggettivi all mano avremmo dimostrato l’inconsistenza e l’incapacità di chi ci ha governato? Con un meccanismo istituzionale avremmo potuto “licenziare” dopo 5 anni questi signori e avremmo poi potuto salvare parte della nostra competitività? Io sono CERTO di si.

Eccolo, il problema è tutto qui. Qualcuno dirà che la Democrazia contiene già un meccanismo implicito di valutazione dell’operato dei governi e delle parti politiche: chi non porta benessere e miglioramento non verrà certo eletto alla prossima tornata elettorale.

Oggi abbiamo però scoperto che non è così: le facce restano quelle, fallimento dopo fallimento, in un terribile gioco al ribasso dove abbiamo visto andare e tornare gli stessi protagonisti della disfatta, e il tutto è durato V E N T I anni.

Io dico, senza alcun timore di essere smentito, che da ora in poi non abbiamo più venti anni o dieci, e nemmeno cinque anni per capire se chi ci governa è incapace. L’incapacità crea un danno immediato alla nostra società e va intercettata immediatamente!

Una Nazione in mano a un team di imbecilli in un anno regredisce facilmente di 5 anni e offre un regalo inatteso e forse un vantaggio incolmabile ai paesi concorrenti.

Se qualcuno dovesse nutrire dei dubbi sul perchè occorre misurare la politica questa è la mia risposta.

Basta con il tifo, o meglio basta con il tifo di parte, iniziamo a tifare per l’Italia. I partiti, i movimenti, tutti i soggetti politici, in questa cultura post-ideologica, altro non sono che degli strumenti per raggiungere una migliore competitività della nostra società.

Conta la capacità, conta vincere, conta fare le cose giuste al momento giusto, contano i fatti. Non ci difenderemo dai Cinesi o dagli Indiani o dai Brasiliani con i proclami e con le promesse di partiti e movimenti vecchi e nuovi, ma solo ed esclusivamente con i fatti. In Grecia di idee e di tifo e di partiti ne avevano e ne hanno anche più che in Italia, ai greci sono però mancati i fatti, i fatti per eliminare corruzione, clientelismo, lassismo ed inefficienza.

Vi è un solo modo per essere certi dei fatti, per inchiodare le persone alle proprie responsabilità, per smascherare i truffatorie gli imbonitori di popolo: occorre misurare i risultati

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